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Maternità obbligatoria. Campagne demografiche e politiche sessiste.

Maternità obbligatoria. Campagne demografiche e politiche sessiste.

 

 

 

 

 

Il governo Meloni si è caratterizzato, fin dall’inizio, anzi, ancor prima di iniziare, per la volontà di rafforzare la famiglia e la natalità, temi assunti a livello programmatico e portati avanti con determinazione tra i criteri orientativi dell’azione di governo.

Non si tratta certo di una novità nel panorama politico italiano, che spicca trasversalmente per tradizionalismo e allineamento alla morale cattolica, come hanno avuto modo di dimostrare anche governi precedenti, ma è evidente che queste tematiche siano particolarmente care a destra e fascisti, come è evidente se proviamo a ripercorrere alcune delle azioni politiche del governo in quest’ultimo anno.

Tra le prime iniziative, vale la pena ricordare il disegno di legge presentato lo scorso ottobre da Fratelli d’Italia per attribuire soggettività giuridica al feto fino dal concepimento: qualcosa che equiparerebbe ad omicidio l’aborto, che pure in questo paese sarebbe tutelato da una legge. E l’attacco all’aborto è stato costante; la Meloni in campagna elettorale aveva strombazzato la sua volontà di mantenere la 194, sicura dell’inefficacia di una legge già abbondantemente vanificata dall’altissima percentuale di obiezione di coscienza, ma anche determinata a depotenziarla ulteriormente tramite misure apertamente dissuasorie e persecutorie, secondo l’intento, più volte pubblicamente dichiarato dalla Meloni, di garantire la vera priorità, cioè il diritto di non abortire. Riproduzione come compito primario delle donne quindi e rafforzamento della famiglia, ovviamente quella composta da una mamma e da un papà.

E infatti nel mese di marzo il governo, accogliendo le sollecitazioni provenienti da associazioni pro vita, ha bloccato la registrazione dei figli delle famiglie omogenitoriali, con l’evidente volontà di favorire la famiglia tradizionale attraverso un provvedimento discriminatorio e omofobo. Del resto il governo Meloni, fra le altre cose, ha rifiutato di sostenere la procedura di infrazione aperta dal Parlamento europeo contro le leggi omofobe introdotte da Orban in Ungheria nel 2021, assumendo quindi una posizione omofoba a livello istituzionale. Una questione sicuramente più rilevante delle farneticazioni espresse in un libro autoprodotto da un generale fascista che tutto sommato si esprime in sintonia col suo governo, oltre che col comune sentire della Folgore e delle forze armate in generale, notoriamente caratterizzate da cultura machista.

E sempre a proposito di campagne omofobe ricordiamo che a fine luglio la Camera ha approvato la proposta di legge per rendere reato universale la gestazione per altri anche all’estero. Ancora discriminazione nei confronti delle coppie omogenitoriali, mascherata strumentalmente con la difesa della dignità delle donne che rendono disponibile il proprio utero.

Mettendoli in fila, questi provvedimenti danno il senso di una accesa campagna ideologica che risente sicuramente anche delle pressioni degli ambienti ultracattolici pro vita e omofobi che sono stati una base elettorale importante per FDI.

Ma alla Meloni “statista” serve qualcosa di più, al governo serve qualcosa di più di una crociata.

La campagna natalità, in questo senso, si può dimostrare utilissima.

Il calo delle nascite, che è un dato oggettivo, offre di fatto al governo una formidabile occasione per promuovere atti politici, presentati come interventi tecnici e pragmatici in ambito demografico e sociale, opportunamente coniugati con campagna ideologica che impone primario compito riproduttivo per le donne, sessismo, patriarcato.

Un panorama in cui la campagna demografica si armonizza perfettamente con contrasto all’aborto, omofobia e primato della famiglia tradizionale.

Il calo delle nascite è iniziato da tempo e già abbiamo visto, sotto altri governi, l’attivazione di becere campagne per la fertilità, come quella promossa a suo tempo dalla ministra Lorenzin sotto il governo Renzi. Sta di fatto che il trend denatalità prosegue a ritmo serrato.

Nello scorso mese di maggio è stato presentato il rapporto annuale ISTAT per Save the Children, che ha messo in evidenza come le nascite in Italia hanno segnato il minimo storico, con 393.000 nascite rispetto a 713.000 decessi.
Nel 2022 è calato anche il numero dei figli nati da genitori entrambi stranieri, che sono stati solo 56.926 rispetto ai 79.894 di 10 anni prima, nonostante l’aumento di persone straniere in Italia. Si dia pace quindi chi temeva la sostituzione etnica.

L’età media del primo parto, secondo il rapporto, si attesta attorno ai 32 anni, in notevole ritardo rispetto agli altri paesi europei. E non è un caso infatti che in Italia la contraccezione sia gratuita fino ai 26 anni, età oltre la quale per le ragazze dovrebbe scattare l’imperativo sociale di riprodursi.


Tra le cause che frenano la riproduzione le donne, nel rapporto ISTAT, hanno fatto riferimento alle motivazioni economiche, al gap lavorativo, alla difficile conciliazione tra lavoro e famiglia, alla scarsità dei servizi, al carico di cura degli anziani, ma anche alla “fatica”, che è la motivazione principale addirittura per il 40%delle donne intervistate.
Come dire che non è solo una questione di precarietà, di povertà e di welfare carente, cose che sicuramente hanno un peso fortissimo, ma anche di scelta personale. Possiamo anche non chiamarla autodeterminazione, ma è comunque qualcosa che le somiglia.

Oltre ai rapporti Istat sull’andamento demografico, negli ultimi tre anni sulla questione si è posizionata ed ha assunto un ruolo egemonico una fondazione privata, la Fondazione Natalità, di impronta marcatamente cattolica, che agisce di concerto insieme al Forum delle famiglie, altro organismo del mondo cattolico. Giusto per richiamare alla memoria, il forum delle famiglie è quello che qualche anno fa pretese il sequestro di una pubblicazione sull’educazione di genere nelle scuole elementari e che nello scorso inverno, sostenuto dal governo, ha diffidato 150 scuole dall’attivare progetti definiti “gender” e carriere Alias.

Tornando alla questione demografica, la Fondazione Natalità è attualmente diretta da Gigi De Palo, ex presidente del Forum delle famiglie, ex assessore alla famiglia, scuola e giovani al comune di Roma nella giunta Alemanno, scatenato pro vita che organizzò il raduno dei passeggini tra Colosseo e Campidoglio.

La Fondazione Natalità ha organizzato nello scorso mese di maggio gli Stati Generali della Natalità, megaevento di enorme risonanza mediatica a cui hanno partecipato anche il Papa e la Meloni, entrambi di bianco vestiti. E’ in quel contesto, ampiamente popolato dai vari esponenti politici, che sono stati lanciati gli allarmi sociali legati a quello che con toni apocalittici è stato definito “inverno demografico”: la diminuzione della popolazione giovane e la prospettiva del calo di posti di lavoro nella scuola, la prospettiva del calo di manodopera lavorativa, le ripercussioni sulle pensioni. Come se le carenze di organico scolastico, la disoccupazione, la precarietà e le pensioni misere erogate a vecchiaia inoltrata fossero un conseguenza del calo delle nascite e non rispondessero a precise scelte politiche.

Dagli Stati generali della natalità sono ovviamente anche emerse le indicazioni: una campagna per il rilancio delle nascite che ha come slogan “mezzo milione di nascite in più entro il 2033”, da sostenere con misure di supporto e rafforzamento della natalità che necessitano- ovviamente- di un opportuno tessuto ideologico che contrasti tutto ciò che non ha uno scopo riproduttivo. Ha un senso quindi contrastare l’aborto, la contraccezione, la scelta se fare figli o no, quello che il papa ha chiamato la cultura dell’egoismo; ha un senso rafforzare la famiglia patriarcale e tradizionale che inchioda le donne al compito riproduttivo; ha un senso colpevolizzare le donne che non si riproducono, ha un senso imporre la povertà e indicare come unico orizzonte la famiglia, nucleo di sostentamento a fronte di redditi individuali insufficienti.

Ma questa campagna demografica oltre ad essere un’occasione di rafforzamento ideologico è anche una enorme partita economica. Perché ovviamente gli Stati generali de noantri si sono dati come strumento anche l’intercettazione di fondi PNRR, cercando di utilizzare le azioni dedicate all’infanzia, la erogazione di incentivi per le aziende che assumono donne con più figli, il sostegno economico per chi fa il terzo figlio (!) e il rafforzamento del welfare, necessario a sostenere le donne che fanno figli. Naturalmente, come è stato affermato, visto che sarà difficile reperire risorse, visto che l’welfare pubblico è costantemente tagliato, si dovrà pensare a un welfare che preveda di attuare una sussidiarietà sempre maggiore con il settore privato, che in Italia è rappresentato soprattutto sulle strutture cattoliche e clericali. Insomma, la campagna per l’incremento della natalità deve avere anche e soprattutto un ritorno diretto e immediato nelle tasche delle maggiori agenzie della Chiesa e del Vaticano.

Patrizia Nesti

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